LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui ricorsi proposti da
M.G.,  n. a  Galvanico  il  29 ottobre 1956, C.R., n. a Salerno il 29
ottobre  1955  avverso  la sentenza della Corte d'appello di Salerno,
emessa in data 26 maggio 2004;
    Letti i ricorsi e il provvedimento impugnato;
    Udita in pubblica udienza la relazione del cons. F. Ippolito;
    Udita  la  requisitoria  del  P.G.,  G.  Viglietta,  il  quale ha
conclusco per l'infondatezza dei ricorsi ed ha richiesto che la Corte
sollevi  la questione di costituzionalita' dell'art. 567 comma 2 cod.
pen. per violazione dell'art. 3 Cost.;
    Uditi  i  difensori,  avv.  G.  Sofia  per  C. e, in sostituzione
dell'avv.   E.  Volino,  per  il  M.,  i  quali  hanno  concluso  per
l'accoglimento dei ricorsi; osserva in

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con sentenza del Tribunale di Salerno 5 marzo 2002, R.C. e
G.M.  furono dichiarati colpevoli del delitto d'alterazione di stato,
previsto e putito dall'art. 567, comma 2 cod. pen., loro ascritto per
dichiarazioni  di paternita' naturali da essi rispettivamente rese in
data  31  luglio  1982  e  18 agosto 1983, in relazione a due neonate
venute  alla  luce  presso  la  clinica Villa del Sole di Salerno, da
donne  che  non  consentivano  di  essere nominate, alle quali veniva
imposto il nome di V.C. e A.M.
    Con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli
imputati  furono  condannati ciascuno alla pena di tre anni e quattro
mesi  di  reclusione, con l'interdizione dalla potesta' genitoriale e
dai pubblici uffici per la durata di cinque anni (pene condonate).
    Avverso la sentenza della Corte d'appello di Salerno, che in data
26 maggio 2004 ha confermato tale decisione, ricorrono per cassazione
gli  imputati,  richiedendone  l'annullamento  per  plurimi motivi di
diritto sostanziale e processuale.
    Il  procuratore  generale, nella sua requisitoria dibattimentale,
ha  rilevato l'infondatezza di tutti i motivi dedotti dagli imputati,
ma  ha  richiesto che la Corte sollevi incidente di costituzionalita'
dell'art. 567,   comma   2  cod.  pen. per  violazione  dei  principi
d'uguaglianza e di proporzionalita' delle pene.

                       Considerato in diritto

    2. - Il Collegio condivide tale dubbio di costituzionalita'.
    Dei   principi   d'uguaglianza  (che  vieta  di  sanzionare  piu'
gravemente  ipotesi  delittuose  meno gravi) e proporzionalita' delle
pene,  la Corte costituzionale ha fatto un uso assai sobrio, ma li ha
tuttavia  applicati in almeno tre precedenti: le sentenze n. 218/1974
e  176/1976  in  materia  di caccia, per comparazione tra fattispecie
diverse  punite  con la stessa pena, e la sentenza n. 341/1994 che ha
ritenuto   sproporzionata   la   pena   edittale  minima  in  materia
d'oltraggio (con ampie motivazioni sociologiche e storico-culturali).
    Non  ignora il Collegio che la questione e' stata gia' piu' volte
prospettata  senza  successo  alla Corte di cassazione (nel 1987, nel
1990,   nel   1991),   ma  le  ripetute  dichiarazioni  di  manifesta
infondatezza non appaiono convincenti.
    La   Corte   di   legittimita',   confrontando   le   due   norme
incriminatrici  previste dai due commi dell'art. 567 ha affermato che
l'ipotesi  di  reato  prevista  nel primo comma presuppone l'avvenuta
acquisizione  dello  stato  civile  da parte dei due neonati, oggetto
successivamente  di  scambio tra di essi; quella prevista dal secondo
comma  si  concreta,  invece,  nell'attribuzione  al neonato che n'e'
ancora  privo - mediante false dichiarazioni nella formazione del suo
atto  di  nascita - di uno stato civile diverso da quello cui avrebbe
diritto.  La  scelta  del legislatore di punire assai piu' gravemente
l'ipotesi  prevista nel secondo comma non sarebbe percio' irrazionale
e costituirebbe una scelta di politica criminale insindacabile.
    Va  osservato,  tuttavia,  che  l'oggetto di entrambe le predette
norme  e'  la  tutela  dello  status  filiationis, e non gia' la fede
pubblica  in  quanto tale (giacche', in tal caso, sarebbe sufficiente
il delitto di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale).
C'e'  un evidente quid pluris che investe l'interesse del minore e la
rilevanza  sociale della famiglia (anche costituzionalmente tutelata)
come  rapporto  riconosciuto  per  legge,  sulla base di un substrato
naturalistico  e  appare  evidente che, nella ipotesi di cui al primo
comma  dell'art. 567  cod.  pen.,  si  verifica  un accordo, che puo'
essere  anche  anteriore  alla  dichiarazione  all'ufficiale di stato
civile,  mediante  il  quale  si attribuisce a due neonati uno status
filiationis  oggettivamente falso, perche' diverso da quello formale:
due  neonati  acquisiscono  una  falsa identita' e per conseguenza un
diverso  status filiationis, e proprio per questo il codice definisce
anche  tale  reato  come  alterazione di stato. Tale comportamento e'
piu'  grave  perche'  la  sostanziale attribuzione di un falso status
presuppone  una  condotta  materiale  piu'  complessa, un accordo che
investe un numero maggiore di persone, conseguente attribuzione di un
falso status a due soggetti, anziche' uno.
    Cio'  consente  di  affermare, nella previsione sanzionatoria del
secondo   comma,   l'esistenza   di  una  lesione  del  principio  di
ragionevolezza stabilito dall'art. 3 Cost., secondo i parametri delle
prime due citate sentenze della Corte costituzionale.
    E'  soprattutto  la concezione formalista del codice - che sembra
attribuire una rilevanza prevalente all'atto pubblico come documento,
anziche'  come presupposto delle condizioni di vita del neonato - che
non  risponde  in  alcun  modo  all'attuale  coscienza sociale: basti
pensare    al    trattamento    estremamente   favorevole   riservato
all'abbandono di neonato (art. 568 c.p.).
    Va   inoltre   rilevato   che   una   lesione   del  criterio  di
proporzionalita' e' ravvisabile anche di la' della comparazione tra i
due  reati  d'alterazione di stato. Nella coscienza sociale, in tutto
il sistema penale e nella cultura occidentale il bene fondamentale e'
la  vita:  l'omicidio e' il piu' grave delitto. E tuttavia il delitto
d'alterazione  previsto  dall'art. 567,  comma 2, cod. pen. e' punito
piu'   gravemente   dell'infanticidio   in   condizioni  d'abbandono,
materiale  o  morale  (art. 578  cod.  pen.):  la  madre che, in tale
condizione,  attribuisca  un  falso  stato  al neonato subito dopo il
parto,  affidandolo  al  falso  padre, commette un delitto piu' grave
della madre che, in identiche condizioni, lo sopprima.
    La  questione  sollevata  dal  procuratore generale non e' dunque
manifestamente  infondata  e, nel caso in esame, assume rilevanza non
soltanto   in  riferimento  al  trattamento  sanzionatorio,  peraltro
condonato,  ma anche in relazione alla maturazione della prescrizione
dei  reati.  La  piu'  grave  pena  edittale  prevista  dal capoverso
dell'art. 567  cod.  pen.,  rispetto a quella del primo comma, sposta
notevolmente  i  tempi  di  compimento  della  prescrizione,  con  la
conseguenza  che  dovrebbe  affermarsi la colpevolezza degli imputati
oggi,  quando le persone, il cui status fu in ipotesi alterato, hanno
raggiunto l'eta' di ventidue e ventitre anni.
    3.  - Il presente giudizio va, percio', sospeso, con trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
    La  cancelleria  dovra' notificare copia di questa ordinanza alle
parti   ed   al   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'
comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.